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Dipendere: dall’infanzia all’età adulta

 

 

 

                                                                           

 

Nell’affrontare questo tema, ci sono trova con il vissuto denominato: l’enigma dipendenza. Osservando le opere di Freud, Klein, Winnicott,   dizionari e trattati, si nota che il termine dipendenza non appare mai tra le parole chiave , anche se ampiamente corre nei testi per indicare la dipendenza madre-bambino, la dipendenza dall’ambiente, la dipendenza dall’oggetto ecc. Dipendenza viene  utilizzato nella clinica come termine descrittivo di funzionamenti . Anche negli ultimi testi di ricerca, per esempio negli studi sull’attaccamento, sia quello madre- bambino, sia quello dell’adulto, non viene trattata  in modo diretto, ma continuamente citata come elemento basico:una componente essenziale all’umano.

In modo particolare il termine dipendenza assume nel linguaggio clinico valenze più accentuate nella sua accezione negativa, patologica in cui uno dei  partner scompare come persona , percorrendo strade pericolose se non autoannientanti . Impasto dell’umano ,  non è più fatta di reciprocità –interdipendenza,ma diventa espressione di un appiattimento ,una rinuncia alla propria identità.

 La dipendenza è qualcosa che fa parte di noi a patto che sia mobile, elastica, con la qualità della pelle né troppo porosa né troppo callosa.  Un dipendere necessario che non deve avere però i caratteri della staticità, qualcosa per cui si assorbe dall’altro ,e possibilmente il buono, per poi condensarlo in un sé più ricco e più libero.

Continuamente si ripete che ,in seduta ,le teorie o i testi devono restare sullo sfondo rispetto all’ascolto del paziente e alla comprensione del suo bisogno ,è necessario non esserne dipendenti  altrimenti non è possibile liberare il proprio pensiero. Non trovando negli indici la parola chiave ‘dipendenza’ ci si chiede   se essa non abbia a che fare con qualcosa che riguarda più un femminile materno, mentre gli studi sul legame e sull’attaccamento, non prevedano più un retaggio di studi e concettualizzazioni maschili .  Dipendenza che forse si tesse pure in modo diverso al maschile o al femminile.

Comunque in questo termine  si  addensano una  quantità incredibile  di variabili: dalla buona e sana dipendenza alla dipendenza patologica che non consente di esistere. Posizionarsi in questo arco determina,  per ognuno di noi, che la nostra qualità di vita sia più o meno buona. Parlo di buona qualità di vita perché immagino , presente in noi, questo arco assieme alla sua oscillazione. Roberto Tagliacozzo in un suo bel lavoro sulla pensabilità, parlava della mente come di un parlamento interno in cui sussistono tante posizioni, il problema riguarda chi ha la maggioranza e da che cosa ci si fa risucchiare. Ognuno di noi, attento a se stesso, può rendersi conto  di come, a seconda delle  situazioni e  dei problemi  che la vita continuamente pone, si trovi a fare i conti con maggioranze diverse e a volte difficili da contenere. Parlo ovviamente di situazioni di funzionamento sufficientemente buone . Maggioranze e minoranze mobili, non dittature.

Si può proporre un livello di riflessione nel quale muovermi con interrogativi più che con risposte… lasciando così l’enigma all’enigma e proponendo solo alcune evocazioni.

 Proporre la dipendenza  entrando nella sua tessitura che riguarda l’inesorabile intrecciarsi della vita con la vita dell’altro, secondo una trama percorsa e ripercorsa lungo tutta l’esistenza.

 La dipendenza , quindi, dove si concepisce? E che cosa intendiamo quando trattiamo di essa? Fornari  in un suo lavoro sulla nascita della psiche ,si occupa dello statuto dell’anima e lo configura ‘come statuto di verità’ che trae la sua giustificazione storica dal fatto di ancorarsi ad un altro mondo che ha costituito la soddisfazione totale del bisogno, garantita dal radicamento del feto nella madre e afferma che tutto ciò può essere considerato un delirio. ‘Da quando i gameti si incontrano nel concepimento adiacente all’atto di amore, la vita del feto si sviluppa radicandosi nella madre come la vita della pianta si sviluppa radicandosi nella terra ’.

 La Tustin parla  di uno stare nello stesso fiume come sensazione di fondo,che produce una sensazione  base di nascere con ‘il cucchiaio d’argento in bocca’. McDougall (1990) descrive l’ inizio della vita psichica come un’esperienza di fusione da cui si genera la fantasia che esista un solo corpo, una sola psiche per due persone che costituiscono una unità indivisibile. La mamma non è ancora un oggetto, ma qualcosa di più grande …’una madre universo’, la cui internalizzazione costituirà una rappresentazione mentale della madre stessa rassicurante e benevola. Pallier (1990) -che quanto più salda e normale è la capacità fusionale, tanto meno evidenti sono i processi schizoparanoidei con conseguente diminuzione o assenza di falsificazione, idealizzazione, persecuzione e così via”.

L’insistere di tanti autori su questo profondo ’ essere insieme’  e l’esperienza clinica spingono a interrogarsi sulle componenti necessarie per dare vita  ad un vissuto forte, una ‘dipendenza’ che faccia sentire esistenti .

Freud , non prevedendo la fusionalità , propone un punto  interessante da riprendere per poi  andare oltre: il tema del desiderio. Mangini lavorando sul pensiero di Freud afferma che «il desiderio possa nascere solo se “si appoggia” su un precedente bisogno corporeo soddisfatto che ne costituisce la matrice […] La stessa fame o la stessa sete del neonato è sempre un po’ “inquinata” da una componente pulsionale che eccede rispetto al bisogno in sé. Se fosse solo bisogno fisiologico non ci sarebbero componenti affettive eccedenti, come il pianto prepotente, la voracità o altre manifestazioni che sottolineano come non si tratti solo di placare la sete, ma come ci sia la pretesa che questa sete non debba mai essere avvertita, perché il disturbo che apporta quando c’è indica che c’è qualcosa che impedisce una sensazione di beata onnipotenza, e che dunque rinvia, al contrario, a un’esposizione traumatica per cui il neonato, unico tra gli esseri viventi, è costretto a prendere atto di una dipendenza, che Freud chiama Hilflosigkeit, impotenza originaria» . In questo caso la ‘teoria dell’appoggio’ spiega che «nessun bisogno può essere mai totalmente soddisfatto e che ciò è indispensabile perché si formino quei desideri che sono così importanti per la vita, come la ricerca di un oggetto». Si può utilizzare questo  come  base costitutiva della dipendenza e come via di uscita dall’onnipotenza.

Tenendo presente la ricchezza della diversità di organizzazione teorica e la lunga strada percorsa    direi oggi che, all’inizio della vita,  tutti e due i partner della nuova avventura  sono  profondamente dipendenti l’uno dall’altro: il feto e la madre… Profondamente impastati per dare vita contemporaneamente ad un nuovo essere, ma anche ad una madre, in una terra che si costituisce come luogo della nascita della relazione che si va facendo e che dà  nuova identità ad entrambi. La dipendenza è quindi  base dell’esistere, non si dà vita senza dipendenza, è il fondamento e la tessitura dell’identità.

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