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Perversioni: essere picchiati

Prendiamo  come punto di partenza i Tre saggi sulla teoria sessuale è possibile osservare come Freud andrà elaborando varie teorie sulla perversione e come le studierà muovendo da angolazioni diverse per giungere tanto ad un approfondimento, quanto ad un ampliamento del concetto.

    Nel senso dell’approfondire, un notevole contributo alla comprensione della dinamica delle perversioni si ritrova in Pulsioni e loro destini, il primo significativo saggio freudiano della Metapsicologia (1915), in cui viene precisato il concetto di pulsione nonché il lavoro delle difese. Attraverso il gioco delle tensioni antitetiche, Freud espone il senso di alcuni meccanismi essenziali alla comprensione delle strutture perverse: il “rivolgimento sulla propria persona” e la “trasformazione nel contrario”, quell’enantiodromia, la fuga nell’opposto, che diventerà una delle chiavi di volta anche della psicologia analitica junghiana.

    Come è evidente, meccanismi simili sono all’origine delle coppie antinomiche sadismo/masochismo,voyeurismo/esibizionismo, in riferimento alle coppie di contrari amore/odio, Io/oggetto, piacere/dispiacere, attività/passività. Invece negli anni precedenti, descrivendo i casi clinici dell’uomo dei topi (1909) e dell’uomo dei lupi (1914), Freud aveva approfondito le complesse vicende dell’erotismo infantile connesse con la scena primaria.

    Ma sarà soprattutto attraverso il saggio del 1919, Un bambino viene picchiato (probabilmente il resoconto mascherato dell’analisi della figlia Anna), e lo scritto sul Feticismo del 1927, che la teoria freudiana delle perversioni aprirà nuovi orizzonti per la ricerca psicoanalitica.

   Nel primo articolo, con la consueta maestrìa, Freud (1919) descrive le vicende di un amore frustrato che diventa fonte di delusione e di “inaspettata mortificazione”: delusione e mortificazione per l’entrata in scena di un terzo che innesca la possibilità della perdita dell’oggetto disperatamente amato (Mancuso, 2006).

    E il dramma si svolge in tre fasi: nel primo atto vediamo una bimba “teneramente fissata al padre, il quale verosimilmente ha fatto di tutto per conquistarsi il suo amore”, quando improvvisamente compare un terzo  – la madre o un fratellino –  e la bimba fantastica “Mio padre picchia il bambino”, perché “non ama quest’altro bambino, ma ama soltanto me”. Ma la scena si chiude con questa fantasia che, pur essendo fonte di notevole soddisfazione narcisistica, subisce delle trasformazioni sia per la rimozione imposta filo- e onto-geneticamente alla scelta oggettuale incestuosa, sia per motivi “puramente interni” o per il gelo provocato da un’intensa mortificazione: il padre giace con la madre, “non corrisponde alle aspettative” della trepida bambina e, ad esempio, un altro bimbo può venire alla luce.

   Il secondo atto si apre così con il trionfo del senso di colpa: la percezione conscia degli impulsi amorosi incestuosi viene sottoposta a rimozione e il senso di colpa non sa trovare punizione più dura che il rivolgimento della punizione sulla propria persona e il rovesciamento di quella che era stata una gratificazione, “No, lui non ti ama, tant’è vero che ti picchia”.

  “Questo essere picchiati   – scrive Freud (1919, 51) –  è ora una combinazione di senso di colpa e di erotismo; non è soltanto la punizione per il rapporto genitale severamente proibito, è anche il sostituto regressivo di esso, e da quest’ultima fonte trae l’eccitamento libidico che d’ora in poi gli sarà ancorato e che riuscirà a scaricarsi in atti onanistici”.

   Attraverso la fantasia delle percosse, la carica pulsionale viene regressivamente soddisfatta a livello anale, nel senso che l’aspetto coattivo anale domina su quello genitale e dal soddisfacimento prevalentemente narcisistico del primo atto si passa così alla soddisfazione di un desiderio che, per quanto regressivo, è più sessualizzato ed erotizzato.

   Nel terzo ed ultimo atto il cerchio sembra chiudersi e veniamo riportati sulla scena degli esordi: di nuovo la bimba assiste alla situazione di un adulto, un “maestro”, un rappresentante del padre che ora, però, picchia, punisce, umilia uno o più bambini dall’identità indefinita. La fantasia adesso divenuta portatrice di un eccitamento intenso e inequivocabilmente sessuale, e come tale veicolo di un soddisfacimento masturbatorio,  ci dice Freud, nella sua configurazione definitiva sembra dunque volgersi al sadico: “mio padre picchia l’altro bambino, egli ama soltanto me”. Eppure, solamente la forma della fantasia è sadica, perché la soddisfazione che da essa si ricava è a tutti gli effetti masochistica, in quanto i bambini picchiati “non sono altro in definitiva che sostituti della propria persona”.

   Con il saggio Un bambino viene picchiato assistiamo così ad una mirabile fondazione dell’architettura della perversione sadomasochistica, ma i successivi studi freudiani metteranno in rilievo anche l’importanza dell’angoscia di castrazione e del suo diniego (Verleunung) per mostrare come si giunge alla costruzione sostitutiva del feticcio.

   E lo scritto sul Feticismo (1927) diventerà una chiave di  volta fondamentale per l’articolazione dell’impianto psicopatologico freudiano e dell’intera riflessione psicoanalitica. Infatti Freud infrange qui, definitivamente, il mito dell’unità dell’Io e del predominio del principio di realtà. Di fronte alla percezione sconvolgente dell’assenza di un pene nella donna, l’Io del bambino  – del futuro perverso –  deve scindersi e mentre una parte di esso riconosce la realtà, un’altra parte è costretta a denegarla (verleugnen) per sottrarsi ad una dirompente angoscia di castrazione.

   Sarà Melanie Klein a dirci come l’angoscia di castrazione non sia altro che uno dei successivi rivestimenti di quella che all’origine non era altro che l’angoscia di morte, permettendoci di comprendere come difese tanto drastiche, quali la scissione e il diniego, siano indispensabili per la sopravvivenza di un almeno labile sentimento di esistere, nonostante comportino quelle differenti alterazioni del senso di realtà, quei più o meno profondi clivaggi nella personalità, che danno vita non solo alle organizzazioni perverse, ma pure alle depressioni ciclotimiche e alle psicosi dissociative.

   Ma non solo, perché sarà Wilfred Bion (1957) a dare un ulteriore sviluppo all’originaria idea freudiana, quando stabilirà la differenziazione clinica tra una parte psicotica ed una parte non psicotica della personalità e la applicherà ai fenomeni di scissione del transfert che si possono osservare nell’incontro con le diverse tipologie di pazienti non nevrotici.

   Intuizioni e approfondimenti della psicoanalisi dunque, ma in tema di perversioni, intuizioni anche dei poeti e degli uomini di lettere: non citerò allora gli abusati De Sade o Sacher von Masoch ma mi rivolgerò a narrazioni più attuali.

Jean-Baptiste Grenouille, protagonista de Il profumo[1], il romanzo best-seller dello scrittore tedesco Patrick Sϋskind, è un bambino picchiato. Nato senza alcuna compassione da una madre che lo abbandona nel fango, sotto un banco del pesce, nel quartiere più disgregato e maleodorante di un’evanescente Parigi del diciottesimo secolo, è un neonato avido e senza odore. Con questi pochi tratti Patrick Sϋskind non ci lascia dubbi: Grenouille è un bambino venuto alla luce senza l’esperienza di quell’amore primario da cui prende le mosse ogni possibile fiducia e speranza nella bellezza della vita; è un bimbo deprivato, condannato alla fame feroce di chi non avuto un seno, un latte, le parole e il volto di una madre che lo rifornissero di un pelle psichica, di un pellicola del pensiero (Hautmann, 1982), di un contenitore per la propria soggettivizzazione e per l’alfabetizzazione della propria esperienza emotiva. Si trova così dotato soltanto di una sorprendente competenza olfattiva e, trascorrendo da una situazione adottiva all’altra, giunge alla bottega di un creatore di profumi. Diventerà uno dei più grandi ‘nasi’ di Francia, ma anche uno dei più feroci assassini seriali. Affascinato  – ma che dico –  estasiato dall’incontro con il femminile, non è attratto dalla bellezza o dalla leggiadria delle sue vittime, è invece feticisticamente ossessionato dal profumo della loro pelle. Con l’istinto primitivo di un predatore, le fiuta da lontano, ne è inebriato nel contatto, dà loro la morte per estrarre l’essenza misteriosa di quell’odore, che per lui è essenza di vita. In realtà, essenza di una mancanza, quella mancanza ad essere e poter veramente amare, che affonda nell’esperienza originaria di non essere mai stato veramente amato. E sfuggirà al patibolo perché riesce nell’intento di realizzare il profumo-feticcio che aveva tanto ardentemente desiderato e che come ogni feticcio riesce a raccogliere in sé tanto la disperazione di una privazione originaria, quanto la nostalgia per un’illusione di onnipotenza che espone al rischio di trasformare ogni feticismo in una tossicomania collettiva. Non solo oggetti sostitutivi, ma anche religioni, ideologie, convinzioni settarie possono divenire “l’oppio dei popoli”.

   E così Grenouille giunto dinanzi al boia, sparge nell’aria l’essenza che ha creato e abilmente miscelato distillando gli umori della pelle delle proprie vittime; e quel profumo, che è la mimesi di un amore sensuale, annebbia le menti e inebria i cuori tanto del carnefice, come del pubblico di curiosi in attesa della sua decapitazione, come di quei notabili  e di quei prelati che dall’alto del loro moralismo, senza interrogarsi, senza alcun desiderio di capire, l’avevano condannato. Grenouille può così allontanarsi indisturbato: il moralismo e i pregiudizi sono sconfitti, ma la sua perversione sembra trionfare. Oppure mi piace credere che, attraverso un percorso terribile e drammatico, la sua perversione sia invece guarita: attraverso quello che potremmo pensare come il sogno dell’incontro con un femminile che cura, che si offre incondizionatamente, ha ritrovato il calore e il profumo del corpo di una madre originaria, ha ritrovato in una sorta di percorso psicoanalitico l’essenza di un amore che genera vita e che ora può portare per sempre con sé.

     Al di là dell’illustrazione di una tenebrosa vicenda individuale, il personaggio inventato da Sϋskind ci permette di considerare come sia possibile non soltanto approfondire il concetto di perversione, ma anche di ampliarne la portata e le amplificazioni ai fenomeni collettivi e alle condotte socializzate.

   In realtà, già Freud aveva esteso i significati del termine “perverso” al di là di una stretta implicazione sessuale, avvicinandosi al concetto di distorsione, rovesciamento, falsificazione o pervertimento di una verità o delle premesse di una visione del mondo, quando nel saggio su Il problema economico del masochismo (1924), utilizzando la nuova concezione della pulsione di morte, aveva rivisto le proprie idee sulla perversione masochistica e introdotto l’esistenza, accanto al masochismo sessuale, di un masochismo morale.

  Se, come abbiamo visto, nel 1919, aveva spiegato l’agire masochistico soltanto sulla base di una convergenza tra senso di colpa e amore sessuale per generare la fantasia (di desiderio) di essere picchiati dal padre, nel 1924 incomincia a parlare di un masochismo primario che sarebbe prodotto da una trasformazione e da un rivolgimento contro di sé della pulsione distruttiva. La perversione sadomasochistica di conseguenza non sarebbe solo il semplice epifenomeno della sessualità infantile, ma risulterebbe dall’impasto patologico delle due pulsioni di vita e di morte.

  Per corrispondenza con il campo sessuale, anche nel campo morale potrebbero realizzarsi delle infiltrazioni della pulsione di morte e la morale potrebbe finire per essere distorta in termini aggressivi. Nel masochismo morale il carattere intimidatorio dei pregiudizi invoca la punizione di chi ne è oggetto e dunque l’aspetto morale, che a prima vista sembra animato da sentimenti di colpa, svelerebbe invece il piacere della punizione.

  Si potrebbe allora proporre di riservare, seguendo la lezione di Freud, il termine di “perversione” ai comportamenti o alle condotte sessualizzate, e il concetto di “perversità” potrebbe essere applicato tanto a quelle distorsioni delle relazioni umane contrassegnate da un tormento continuo dell’altro  – che appare comunque più accettabile di una separazione (De Masi, 1999) –   quanto a quelle situazioni in cui diviene necessario tentare la difficile definizione dei confini con l’idea di normalità.


[1] Süskind, P. (1985) Il profumo, tr.it. Longanesi, Milano.

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