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COSTRUIRE UN’ASSOCIAZIONE DI PSICOLOGI E PERCHE’: LIMITI E POSSIBILITA’

 

 

RELAZIONE

 

Dott.ssa Maria Letizia Rotolo

Psicologa-psicoterapeuta

 

 

Associazione tra professionisti

1. Il lavoro autonomo

Sotto l’albero del lavoro autonomo, disciplinato dall’art. 2222 del C.C. (“Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le disposizioni del presente capo..”) non ci sono solo avvocati, commercialisti, architetti e medici, ma anche artisti di strada, attori e procuratori sportivi.

Non è poi così raro che giovani avvocati o commercialisti vogliano, dopo qualche anno da lavoratore dipendente, avviare uno studio professionale. Più raramente tra psicologi.

Nell’ambito delle attività di lavoro autonomo si possono inoltre distinguere: le professioni libere, cioè quelle svolte senza alcuna formalità e senza necessità d’iscrizione ad alcun albo (ad esempio artisti, pubblicitari eccetera); le professioni protette, cioè quelle il cui esercizio è subordinato al superamento d’un esame d’abilitazione ed alla successiva iscrizione in appositi albi, ordini od elenchi (psicologi, avvocati, giornalisti, notai, medici, ecc.); il lavoro autonomo occasionale, vale a dire qualsiasi attività esercitata in modo sporadico al di fuori di rapporti a carattere unitario e continuativo, i contratti di lavoro a progetto (in precedenza denominati come collaborazioni coordinate e continuative) che si riferiscono ad attività a contenuto intrinsecamente artistico o professionale, svolte senza vincolo di subordinazione, ma in modo adeguato alle esigenze del committente nell’ ambito di un rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e con un compenso periodico prestabilito.

1.2   Svolgimento in forma individuale o associata

Per chi decide di esercitare in maniera abituale un’arte o professione, si pone da subito iI problema di stabilire se organizzarsi in forma individuale, associata o, quando ammesso, in forma associata o societaria.

Esordire nel mercato del lavoro (autonomo) da soli vuol dire sobbarcarsi di tutti gli oneri, primo fra tutti quello d’acquistare computer, mobilio, arredamento ed attrezzature necessarie all’espletamento della singola specifica attività. Di regola occorrerà poi reperire i locali dove esercitare la professione, stipulando il relativo contratto di locazione. Molte volte sarà necessario inoltre assumere personale (segretarie, collaboratori ecc.).

Se lavorare da soli ha l’innegabile pregio di non dover condividere con altri decisioni (e profitti), l’associazione professionale presenta invece il vantaggio di dividere le spese di gestione, il che soprattutto nella fase iniziale dell’attività non guasta.

Inoltre associarsi vuol dire anche confrontarsi con altri colleghi sulle singole problematiche che di volta in volta si presentano.

Senza contare che al giorno d’oggi l’associazione rappresenta molte volte lo strumento migliore per essere competitivi sul mercato.

Perché lo studio associato? L’unione fa la forza.

a)       multidisciplinarietà e specializzazione – miglior servizio al cliente

La complessità dei singoli casi che si prospettano allo psicologo, oltre alla necessità del continuo aggiornamento, rendono quasi indispensabile un’adozione di sinergie tra più professionisti. Più specializzazioni, più riferimenti con colleghi di diversa formazione si traducono in un arricchimento personale e professionale che – sia nell’ottica del rapporto personale terapeuta/cliente, sia in un’ottica di studio e di ricerca – si traduce in una migliore prestazione.

b)      per coprire più piazze (estensione territoriale)

La collaborazione di più professionalità e più specializzazioni si traducono anche, ovviamente, non solo nella possibilità di offrire un miglior servizio, ma di poterlo offrire anche in una maggiore area territoriale, perché la struttura “c’è”-

c)       “paracadute” per gli eventi negativi della vita e della professione

L’unione fa la forza. Quante volte, problematiche familiari ci costringono a fare delle scelte tristi e dolorose, per noi, per i nostri pazienti e per altri clienti? Facciamo solo qualche esempio, tra i più frequenti:

–          la malattia grave di un congiunto e la conseguente necessità di doverlo assistere;

–          la maternità: quante professioniste riescono a far coincidere impegni professionali ed impegni familiari?

–          una situazione di particolare crisi dovuta a vari fattori nel nostro ramo specialistico con conseguente grave riduzione del numero degli incarichi.

Tutti questi casi e molti altri in genere provocano un drastico e pericoloso rallentamento della vita professionale, se non addirittura una sua “sospensione temporanea” con gravi ripercussioni – non difficili da immaginare – sia di carattere economico, sia di carattere… psicologico!

Ecco, quindi, la funzione di “paracadute” dello svolgimento dell’attività in forma associata: lo studio va avanti, comunque, se ho qualche problema, c’è sempre qualcuno che, in qualche modo, “continua” anche per me. La struttura continua ad esistere, mi solleva da qualche incombenza e mi aiuta nell’organizzazione della mia vita professionale.

d)       per far crescere i giovani che possono confrontarsi con stili e competenze diverse

Quanti di noi, specialmente all’inizio della professione, non hanno sentito la necessità di un continuo scambio d’idee, sensazioni ed esperienze lavorative?

Il continuo bisogno di crescere professionalmente ed umanamente è sempre uno scopo da perseguire individualmente, ma è altamente più gratificante e meno faticoso se perseguito insieme ad altri colleghi. 

e)       per poter affrontare la concorrenza Europea e/o internazionale che ha creato modelli che solo schemi associativi possono reggere

 

Non esiste solo l’aspetto “clinico” dell’attività di psicologo, ma anche quello di studio, indagine e ricerca. Una maggiore crescita professionale avviene più facilmente anche attraverso alla collaborazione di più professionisti.

A conforto di questa tesi si vedano anche gli “incentivi per l’aggregazione” che erano previsti dalla legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008) e solo per il periodo 2008-2010 in attesa dell’autorizzazione della Commissione Europea.

f)        per poter integrare nella struttura professioni che non appartengono al “core business”

 

Più specializzazioni, più rami in una stessa organizzazione.

g)       per consentire un alto grado d’informatizzazione

E’ indispensabile per lo studio e la ricerca la possibilità di “catalogare” casi, studi, test psicologici, eseguire statistiche ecc.

Ferma restando la non trascurabile utilità anche nella parte più prettamente amministrativa dell’associazione (parcellazione, liberatorie varie ecc.).

E’ chiaramente individuabile il vantaggio di condividere hardware e le banche dati interne di più professionisti.

 

h)       per educare i clienti ad avere fiducia nello studio come “istituzione” (senza peraltro spersonalizzare il rapporto)

Il rapporto con il cliente è quasi nella totalità dei casi del tutto personale e basato sulla fiducia che questi ripone verso il professionista di riferimento. Spesso è difficile, se un cliente è “abituato” a rivolgersi al dottor Rossi, convincerlo ad accettare un rapporto con lo Studio Associato di Psicoterapia dei dottori Rossi, Bianchi e Neri.

E’ anche utile, secondo me, che il paziente – nel caso di psicoterapia singola – non percepisca lo Studio Associato come “altro” dal proprio terapeuta, ma come “istituzione” a garanzia proprio della qualità, della preparazione e dell’interesse “personale” di quest’ultimo.

i)         perché il confronto continuo arricchisce e conforta

Repetita iuvant. Il confronto continuo non fa che stimolare ed evita una fossilizzazione nelle proprie convinzioni, mantiene la mente aperta e ricettiva e… conforta!

Sì, proprio così, conforta. E non è cosa da poco conto visto il disagio che può provocare l’essere da solo con il proprio paziente.

j)         perché è bello costruire, crescere e vivere la vita professionale assieme ad altri

1.3   L’associazione professionale

Da un ambito più teorico sul lavoro autonomo e sul suo esercizio in forma associata, veniamo alla parte più tecnica per cercare di meglio comprendere che cosa sia l’esercizio della professione in forma associata e che cosa sia e che cosa s’intende, nella fattispecie, per associazione.

Espressamente consentita dalla legge 1815 del 1939, è una mera modalità d’esercizio in comune d’una determinata attività professionale.

Non viene ad esistenza un nuovo soggetto ma ciascun professionista conserva la propria individualità sia nei rapporti con i clienti, sia quanto ai doveri, sia, ancora, quanto ai rapporti con l’Ordine d’appartenenza.

L’associazione produce effetti nei rapporti interni quanto alla ripartizione degli utili e delle spese tra gli associati.

Nell’ambito del rapporto che s’instaura tra il cliente ed i professionisti associati si presume che ciascun professionista, nell’espletamento dell’incarico, agisca, oltre che per sé, anche per gli altri, secondo il principio della rappresentanza reciproca (art. 1723 c.c.).

E’ importante ricordare bene che l’associazione professionale non può configurarsi come un’associazione non riconosciuta (ad es. ONLUS od altre organizzazioni no-profit di cui oggi si sente tanto parlare per le loro meritorie attività): non solo perché lo scopo perseguito è di natura economica e non ideale, ma anche perché l’associazione non riconosciuta è un soggetto di diritto distinto dalle persone degli associati (che opera a favore degli associati e non solo), centro autonomo d’imputazione di rapporti giuridici (ancora una volta, altrimenti, si verificherebbe quel fenomeno di “spersonalizzazione” dell’attività che contrasta insanabilmente con il principio della personalità nell’assunzione del contratto d’opera).

In conclusione, l’associazione professionale si configura come contratto associativo atipico senza rilievo reale, avente ad oggetto:

a)       l’obbligazione di tutti i professionisti aderenti al contratto di cooperare all’attività degli altri associati;

b)       l’obbligazione di ripartire internamente secondo quote prefissate i compensi percepiti;

c)       l’assunzione in solido delle obbligazioni strumentali all’esercizio dell’attività, da suddividersi nei rapporti interni secondo criteri predeterminati;

d)       l’acquisto in comunione dei beni necessari allo svolgimento della professione intellettuale.

1.4 L’attività dei professionisti

L’attività dei professionisti intellettuali non è legislativamente considerata come attività imprenditoriale: infatti, mentre l’impresa nello svolgere la sua attività economica assume obbligazioni cosiddette di risultato, nel senso che si obbliga a fornire ai terzi un’entità determinata nel suo contenuto (ad esempio, l’appaltatore che si obbliga a costruire una casa, deve consegnare l’opera nei termini previsti dal contratto), l’obbligazione del professionista intellettuale non è di risultato, bensì di mezzi, nel senso che lo stesso non è tenuto a raggiungere un risultato predeterminato a priori, ma solo a svolgere la sua attività con il massimo della diligenza professionale (ad esempio l’avvocato non è tenuto a far vincere la causa del suo cliente).

L’esercente una professione protetta (cioè iscritto in appositi albi o elenchi quale ad esempio: psicologo, avvocato, notaio, farmacista, ragioniere…) agisce in base allo schema del contratto d’opera secondo cui “una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con il lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente” (art. 2222 c.c.).

Le norme che non consentono a due o più professionisti di creare una società sono contenute nella legge 23 novembre 1939, n. 1815.

L’art. 1 così dispone: “le persone che, munite dei necessari titoli d’abilitazione professionale, ovvero autorizzate all’esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l’esercizio delle professioni e delle altre attività per cui sono abilitate e autorizzate, debbono usare nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di studio tecnico, legale, commerciale, contabile amministrativo, tributario, seguito da nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati”.

Il vincolo d’associazione, cui la norma fa riferimento, può riguardare la comunione di mezzi (locazione in un comune di un medesimo locale, l’assunzione in comune dei medesimi impiegati, l’utilizzazione di comune attrezzatura); può anche riguardare la collaborazione fra professionisti nell’esercizio della professione e la divisione dei guadagni che ne derivano, ad esempio più psicologi studiano in collaborazione i casi che ciascuno di essi riceve e dividono fra loro i compensi che ciascuno di essi percepisce: in questo secondo caso si potrà parlare di rapporto di reciproca associazione in partecipazione.

L’art. 2 della citata legge vieta in modo esplicito di “costituire, esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria”.

Dall’analisi delle due norme soprariportate, nasce il divieto tassativo all’esercizio in forma societaria di qualsiasi attività professionale protetta; dalle affermazioni precedenti è possibile rilevare i seguenti corollari:

– i professionisti in base alle norme di cui sopra, qualora intendano svolgere l’attività professionale in comune debbono utilizzare la forma giuridica dell’associazione tra professionisti;

– è vietato esercitare l’attività professionale sotto qualsiasi forma giuridica prevista per l’esercizio dell’attività economica (società in nome collettivo, società in accomandita semplice ecc.);

– l’associazione deve essere nota ai terzi utilizzando la denominazione di studio tecnico, legale e commerciale.

Anche la giurisprudenza più autorevole si è espressa in questo senso: in particolare la Cassazione civile, sez. I, 12 marzo 1987, n. 2555 ha statuito che “fra esercenti professioni protette non può essere costituito alcun tipo di società e ciò perché l’attività professionale non è attività economica d’impresa, per contrasto sia al precetto dell’esecuzione personale della prestazione che con il disposto degli artt. 1 e 2 della legge n. 18 15/1939”.

La giurisprudenza ha sempre ritenuto che i due predetti articoli della legge n. 1815/1939 si applicano esclusivamente alle professioni cosiddette protette ossia alle professioni per l’esercizio delle quali è necessario un titolo di specifica abilitazione ed un’apposita autorizzazione e tendono ad impedire, a tutela dei terzi e dell’interesse della collettività, che le predette professioni siano svolte comunque da persone non legittimate e perciò non provviste della necessaria preparazione tecnica; a tale discorso si aggancia l’art. 348 del codice penale il quale sanziona che l’esercizio abusivo delle professioni protette per difetto d’iscrizione del professionista all’albo costituisce la nullità dei contratti di opera professionali.

Può avvenire che persone non provviste della necessaria abilitazione intraprendano l’esercizio di professioni riservate associandosi con persone legittimate e, quindi, usufruendo dell’abilitazione o dell’autorizzazione di queste ultime.

Come conseguenza, i contratti che si pongono in contrasto con le norme della legge n. 1815/1939 sono da considerarsi nulli ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. (così Cass., sez. I, 12 marzo 1981, n. 2555).

In conclusione, l’esercizio di una professione protetta può essere svolto esclusivamente nella forma giuridica dello studio associato.

L’esercente la professione protetta (psicologo, avvocato, dottore commercialista, ecc.) non potrà associarsi con un soggetto che svolga una delle professioni non protette (ad esempio esperto pubblicitario), né tantomeno potrà costituire una società.

Analogamente, due soggetti esercenti professioni protette non potranno costituire una società ma solamente un’associazione.

Qualora l’attività professionale esercitata non sia compresa fra quelle protette sarà possibile costituire alternativamente:

– un’ associazione professionale;

– una società (di persone o di capitali).

In quest’ultima ipotesi si determina la formazione d’un soggetto che è ben diverso da quello professionale, poiché vi è la creazione di un’impresa, con tutto ciò che ne discende (reddito, responsabilità ecc.).

L’associazione professionale si configura come una particolare fattispecie di società semplice.

Infatti, da un punto di vista civilistico l’associazione altro non è che una società che, anziché svolgere un’attività agricola o comunque non commerciale, ha per oggetto l’esecuzione di un’attività professionale.

Mediante la costituzione di un’associazione professionale due o più persone conferiscono beni e servizi per l’esercizio in comune di un’attività professionale; la determinazione del reddito avviene secondo il criterio di cassa (incassi meno pagamenti) e non in base alla regola prevista per le altre società secondo il criterio di competenza.

1.5 Il contratto di un’associazione professionale

Il contratto di un’associazione professionale può essere modellato sulla base di quello della società semplice, che non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti (ad esempio, con beni immobili è necessario l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata).

Se la partecipazione è in parti uguali è sufficiente una scrittura privata registrata per dare data certa, se la partecipazione non è in parti uguali è necessaria una scrittura privata autenticata od atto pubblico.

Il contratto può essere anche verbale: vi può essere un accordo non scritto ed anche tacito o per fatti concludenti.

La conseguenza è che tra i professionisti nasce l’associazione senza la necessità di alcun tipo di pubblicità. Lo studio associato in ogni caso non deve essere iscritto all’ufficio del Registro delle imprese presso la Camera di Commercio.

1.5.1 I conferimenti

Gli associati sono obbligati a conferire quanto indicato nel contratto sociale; nel caso di mancata determinazione dei conferimenti nel contratto si presume che i soci si siano obbligati ad effettuarli in parti uguali nel limite necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale.

Quando i conferimenti non sono indicati nel contratto sociale, il loro ammontare è determinato con riferimento:

– al momento della conclusione del contratto sociale;

– alla specifica attività che i soci decidono di esercitare.

Accade frequentemente che nelle associazioni non vi sono conferimenti di capitale da parte degli associati. In questo caso i conferimenti si traducono nelle prestazioni di servizi che gli associati si obbligano a svolgere giornalmente presso lo studio; anzi è bene precisare che tale componente (l’attività svolta da ciascun associato) deve assolutamente verificarsi ,a altrimenti non è valido il rapporto associativo intercorso in quanto contrario alle prescrizioni della legge n. 1815/1939.

Nel rispetto del limite anzidetto, i soci possono conferire denaro, beni in natura, crediti e qualsiasi altro diritto anche di godimento, atto ad essere utilizzato nell’attività sociale.

Possono quindi essere oggetto di conferimento, ad esempio, beni mobili o immobili, materiali o immateriali (brevetti, marchi ecc.), oltre alle prestazioni d’opera.

Si ritiene che non sia possibile il conferimento di un’azienda; tale fattispecie, infatti, conduce molto probabilmente alla nascita di una società commerciale.

1.5.2 Le modifiche del contratto sociale

Le regole previste per la società semplice sono direttamente applicabili all’associazione professionale: per le modificazioni del contratto di associazione occorre il consenso di tutti gli associati, se non è convenuto diversamente nel contratto.

In alternativa al consenso unanime, frequentemente viene previsto nel contratto sociale che le modifiche sono assunte con il consenso della maggioranza degli associati.

Altre possibilità sono quelle di rimettere le modifiche del contratto sociale ad un terzo arbitratore o a una minoranza di soci.

Quindi, può essere previsto nel contratto che la modificazione di esso sia rimessa alla maggioranza dei soci o anche a un terzo o addirittura ad un singolo socio.

Costituiscono modificazioni del contratto le variazioni:

– oggettive, che riguardano cioè singole clausole che regolano la vita della società;

– soggettive, concernenti, ad esempio, la cessazione della qualità di socio, il trasferimento di tale qualità in capo ad un altro soggetto, l’ingresso di nuovo socio nella società.

1.5.3 Gli associati

Con la stipulazione del contratto d’associazione professionale i contraenti assumono la qualità di associati.

Per effetto del contratto gli associati assumono una molteplicità di situazioni giuridiche attive e passive, che rilevano sia nei rapporti tra i soci stessi sia nei confronti dei terzi.

Si tratta:

1) degli obblighi relativi:

– all’effettuazione dei conferimenti;

– al divieto di servirsi a fini personali, delle cose sociali senza il consenso degli altri soci;

– al divieto di concorrenza;

– all’esercizio dell’attività professionale in forma individuale (clausola eventualmente prevista nel contratto, che può essere limitata in vari modi);

2) dei diritti relativi:

– all’amministrazione della società (come regola, spetta a ciascun socio);

– all’ espressione della propria volontà tutte le volte che il contratto sociale o la legge lo prevedono;

– all’ottenimento dagli amministratori di notizie dello svolgimento degli affari sociali;

– alla consultazione dei documenti relativi all’amministrazione;

– alla liquidazione della quota in caso di recesso o a causa di morte (e anche nel caso di invalidità permanente se lo prevede l’atto costitutivo);

– alla richiesta di rendiconto;

– agli utili.

1.5.4 L’amministrazione dell’associazione

L’amministrazione dell’associazione è regolata secondo le modalità previste per la società semplice.

Giova qui ricordare che nella prassi l’amministrazione e la rappresentanza dell’associazione sono affidate a ciascun associato con pieni poteri, realizzando così un’amministrazione disgiuntiva a tutti gli associati. Questa modalità è anche la regola prevista dal codice civile; tutte le fattispecie d’amministrazione costituiscono un’eccezione, per la cui validità è necessaria l’indicazione espressa nel contratto associativo.

Per quanto attiene alla nomina degli amministratori si ritiene che non sia possibile nominare soggetti estranei alla società.

Gli amministratori devono essere nominati attraverso il contratto sociale o, in mancanza, vale l’art. 2257, del codice civile, secondo cui l’amministrazione spetta a ciascun socio in maniera disgiuntiva. Anche nell’associazione professionale la nomina degli amministratori può avvenire anche con atto separato.

1.5.5 La partecipazione agli utili e alle perdite

Il diritto dell’associato al rendiconto si collega al diritto di ciascun associato a percepire gli utili risultanti dal rendiconto approvato; non occorre una precisa delibera di distribuzione degli utili è sufficiente la semplice approvazione del rendiconto.

Le quote spettanti agli associati sugli utili e sulle perdite sono previste dal contratto sociale.

Normalmente la ripartizione avviene in proporzione all’effettiva attività lavorativa esercitata presso l’associazione.

A tale proposito si evidenza che nei contratti d’associazione professionale, essendo di notevole importanza lo svolgimento dell’attività professionale, viene prevista una regolamentazione particolarmente precisa con riferimento allo svolgimento dell’attività, quali ad esempio:

– la previsione di orari, di ferie ecc;

– la regolamentazione degli impegni lavorativi esterni all’associazione professionale;

– l’utilizzo di collaboratori professionali esterni.

Nel caso in cui il contratto non disponga nulla per quanto concerne la ripartizione degli utili e delle perdite, le regole da seguire sono le seguenti:

– le quote negli utili e nelle perdite si presumono uguali;

– qualora il valore dei conferimenti non è determinato dal contratto, le parti si presumono uguali;

– se è determinata la sola parte di spettanza degli utili si presume che la stessa sia riferita anche alle perdite;

– se il contratto sociale non qualifica la quota di partecipazione agli utili e in presenza di conferimenti d’opera, la misura della partecipazione è fissata dal giudice secondo equità.

N.B. Non è previsto normativamente l’obbligo della tenuta delle scritture contabili per le associazione professionali, così come, invece, avviene per gli imprenditori commerciali.

È civilisticamente sancita la sola predisposizione di un rendiconto, senza specificare né la struttura, né i criteri di valutazione dello stesso, né il termine entro il quale debba essere presentato dagli amministratori agli altri soci.

L’obbligo del rendiconto presuppone la tenuta di una contabilità, tuttavia, nell’associazione, ai fini:

– civilistici, la contabilità non è obbligatoria;

– fiscali, è prevista seguendo le modalità diverse a seconda dell’ammontare dei ricavi e in alcuni casi dell’attività svolta (si pensi allo studio medico che può essere esentato da alcuni adempimenti IVA).

1.5.6 La rappresentanza della società

L’ amministrazione dell’associazione non coincide necessariamente con la rappresentanza della società:

– la prima consiste nella direzione e nella gestione degli affari sociali ed ha quindi rilievo nei rapporti con gli associati;

– la seconda attiene ai rapporti con i terzi e consiste nell’ attività mediante la quale l’associazione acquista diritti e assume obblighi.

Se il contratto sociale nulla dispone, la rappresentanza:

– spetta disgiuntamente a ciascun socio amministratore; se il contratto non stabilisce i soci amministratori, tutti i soci amministratori hanno la rappresentanza della società;

– si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.

L’associato rappresentante (o gli associati rappresentanti) può conferire ad un altro socio o ad estraneo un mandato con rappresentanza per determinati atti o anche una procura generale, ma risponderà sempre personalmente verso i terzi.

Strettamente collegata alla rappresentanza negoziale è la rappresentanza processuale che è regolata allo stesso modo.

1.5.7 La responsabilità per le obbligazioni sociali

 

Per le obbligazioni sociali rispondono:

– in primo luogo, l’associazione con il suo patrimonio;

– in seconda battuta, personalmente e solidalmente gli associati che hanno agito in nome e per conto della società;

– infine, tutti gli altri associati, salvo patto contrario.

La responsabilità è quindi inderogabile per gli associati che hanno agito, mentre per gli altri può essere esclusa.

Sono estensibili ancora una volta all’associazione professionale le regole a proposito della società semplice, anche per quanto riguarda la responsabilità delle obbligazioni sociali.

Qualora vi sia l’ingresso nella compagine associativa d’un nuovo socio, sia che entri a far parte di una associazione già costituitasi aggiungendosi agli altri o che subentri a un altro associato, risponde delle obbligazioni assunte dall’associazione prima del suo ingresso in società.

Gli associati uscenti, invece, rispondono delle obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.

1.5.8 Lo scioglimento del rapporto sociale e le pattuizioni del contratto sociale

Le più importanti cause di scioglimento del rapporto associativo rispetto ad un associato sono la morte, il recesso e l’esclusione.

Nel momento della costituzione dell’associazione tali cause possono essere regolamentate nel contratto associativo.

Il codice civile, a proposito della società semplice, stabilisce come regola generale che la morte di un socio non implica né lo scioglimento della società né la continuazione della società con gli eredi, ma comporta la risoluzione del rapporto, con l’obbligo a carico della società di liquidarne la quota.

Il contratto sociale può disporre diversamente, prevedendo ad esempio la continuazione o lo scioglimento della società.

Nel caso in cui il patto sociale non abbia previsto una particolare regolamentazione, i soci superstiti possono:

– sciogliere la società con accordo unanime; in tal caso gli eredi del socio defunto hanno diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota;

– continuare la società con gli eredi che devono dare il loro assenso; la quota di partecipazione del defunto viene frazionata fra gli eredi.

N.B. Nell‘associazione professionale, stante la particolare disciplina che richiede la qualifica professionale specifica (per uno studio di medici, anche gli eredi dell’associato defunto dovranno essere iscritti all’albo dei medici per entrare nello studio), il contratto associativo generalmente prevede l’entrata automatica degli eredi nell’associazione e quindi la liquidazione della quota loro spettante.

1.5.9 Altre indicazioni del contratto sociale

Oltre a quelle già viste vi sono altre indicazioni che possono essere riportate nel contratto associativo: la ragione sociale, l’oggetto sociale, la sede ed eventualmente quelle secondarie e la durata.

La ragione sociale – Nell’ambito dell’associazione professionale non esiste l’obbligo di indicazione nel contratto della denominazione sociale.

Tuttavia, l’indicazione della denominazione dell’associazione:

– può comunque essere indicata nel contratto;

– deve essere utilizzata nei rapporti con i terzi, rispettando così l’obbligo sancito dalla legge 18 15/1939.

Inoltre, la citata legge prevede che nella denominazione deve essere obbligatoriamente utilizzata la dizione studio tecnico, legale, commerciale, contabile seguito dal nome e cognome, con i titoli professionali dei singoli associati.

L’oggetto sociale – Il contratto associativo potrebbe, almeno in linea teorica, non riportare l’oggetto sociale. Tuttavia, vista anche la particolare attività esercitata, deve risultare chiaro che l’oggetto del contratto è lo svolgimento dell’attività professionale.

La sede e le sedi secondarie – L’indicazione della sede ed eventualmente delle sedi secondarie dell’associazione non rappresenta un elemento essenziale. L’individuazione della sede è rilevante ai fini del foro competente per le controversie in cui è parte la società.

La durata – La durata dell’associazione non necessariamente deve essere specificata; qualora non sia indicata si presume a tempo indeterminato.

Diversamente, nel caso in cui sia indicato un termine preciso della durata dell’associazione nel contratto, può presentarsi l’ipotesi della proroga tacita.

Infatti, qualora gli associati continuano a compiere operazioni sociali nonostante sia decorso il tempo previsto dal contratto sociale, la società si intende tacitamente prorogata a tempo indeterminato.

La durata dell’associazione produce effetti sulle modalità di recesso degli associati; a seconda dell’indicazione della durata variano le possibilità di recesso.

Infatti, quando la durata è a tempo:

– determinato, il recesso è ammesso nei casi previsti dal contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa;

– indeterminato o per tutta la vita di uno degli associati, il recesso è ammesso, oltre nei casi previsti dal contratto sociale o nell’ipotesi di una giusta causa, anche in qualsiasi momento l’associato lo ritenga opportuno, anche senza motivazione, purché lo comunichi agli altri associati con un preavviso di almeno tre mesi.

In ogni caso il contratto sociale può prevedere modalità di esercizio del recesso particolari, ad esempio può essere stabilita:

– una determinata forma;

– la necessità di un preavviso anche nell’ipotesi di recesso per giusta causa;

– l’indicazione di un preavviso superiore a quello dei tre mesi.

1.6 L’incentivo all’aggregazione previsto dalla finanziaria per l’anno 2008

Allo scopo di favorire la crescita dimensionale delle realtà professionali italiane, per migliorarne la qualità dei servizi forniti e renderle più competitive con i grandi studi internazionali, viene previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, GU. 28 dicembre 2007, n. 300 (articolo 1, commi da 71 a 76) un incentivo per le aggregazioni professionali. La contropartita del “matrimonio collettivo” (solo per il periodo 2008 – 2010) è la maturazione di un credito d’imposta da spendere anche in compensazione con il modello F24. Ma l’applicazione del bonus resta subordinata all’autorizzazione della Commissione UE.

1.6.1 I beneficiari

L’agevolazione è destinata ad associazioni professionali (studi associati) e altre entità giuridiche, anche in forma societaria (per esempio società semplice), che derivino dall’aggregazione di almeno quattro ma non più di dieci professionisti.

La norma impone due ulteriori requisiti: l’esclusività del rapporto del singolo professionista con l’aggregazione e l’esclusione dei soggetti collettivi creati al solo scopo di svolgere attività meramente strumentali. In sostanza si vuol favorire la nascita di medio-piccole strutture professionali all’interno delle quali i partecipanti svolgono l’attività in modo esclusivo, sfruttando poi la possibilità fiscale di provvedere all’imputazione del reddito prodotto sulla scorta della qualità e della quantità del lavoro prestato.

Non si menziona il divieto di costituzione a latere di società di mezzi (il riferimento allo svolgimento esclusivo dell’attività professionale) probabilmente perché, in loro presenza, si azzererebbero per il soggetto collettivo professionale i costi che danno diritto al credito d’imposta.

1.6.2 Oggetto e misura

Il credito d’imposta è pari al 15% dei costi sostenuti per l’acquisizione, anche in leasing, di arredi, attrezzature informatiche, macchine d’ufficio, impianti e attrezzature varie, programmi informatici e brevetti concernenti nuove tecnologie di servizi.

Sono agevolate anche le spese per ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione degli immobili utilizzati che, per loro caratteristiche sono imputabili a incremento del costo dei beni cui si riferiscono.

1.6.3 Monitoraggio e controllo

Il comma 75 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008) rinvia ad un decreto interministeriale per le modalità attuative, le procedure di monitoraggio e controllo, le cause di revoca (totale o parziale) del credito d’imposta e di applicazione delle sanzioni, anche nel caso in cui, nei tre anni successivi all’aggregazione, il numero dei professionisti associati si riduca in modo significativo rispetto a quello esistente dopo l’aggregazione.

La misura è quindi condizione di stabilità. Ma se si considera che il credito spetta anche per l’aggregazione di soli quattro professionisti, sarà importante sapere cosa si intende per significativa riduzione che interessa professionisti oggi titolari di partita IVA, specialmente per il passaggio di eventuali loro beni (non plusvalenti se acquistati sino al 3 luglio 2006) dalla posizione singola a quella collettiva.

Infine, nulla è detto sul trasferimento della clientela che, se pur configurante ipotesi fiscalmente rilevante, dovrebbe avvenire senza alcun corrispettivo. L’occasione, insomma, può essere propizia per fornire una regolamentazione delle operazioni di “conferimento di attività professionale”.

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