Diventa impossibile parlare di questioni relative allo sviluppo psicosessuale del bambino senza affrontarne, parallelamente, lo sviluppo affettivo e relazionale: mente, corpo ed emozioni, infatti, sono legati fra loro in un sistema complesso di interazioni che è importante comprendere,, al fine di sfatare miti e credenze (una per tutte: il fatto che i bambini maggiormente ‘attaccati’ alle figure di riferimento saranno, da più grandi, poco indipendenti) che nulla hanno a che fare con ciò che significa “attaccamento” in senso scientifico.
Ma di cosa si tratta, allora?
Lo studioso Bowlby, tramite le sue ricerche, ha dimostrato che, negli esseri umani, esiste un sistema, denominato di attaccamento, che si attiva in situazioni di pericolo, stress o disagio (sia fisico che psicologico) e che spinge i bambini, fin da piccolissimi, a ricercare attivamente la prossimità con le figure adulte di riferimento, al fine di essere protetti e garantirsi in tal modo la sopravvivenza. E’ evidente quindi come vi sia una continuità diretta fra piano biologico e piano sociale e relazionale: il tentativo di stringere legami affettivamente significativi corrisponde ad un mandato biologico, ovvero al tentativo del neonato, in quanto essere inerme e completamente dipendente, di richiamare l’attenzione dell’adulto per ottenere protezione, accudimento e sostentamento.
Un adulto in grado di fornire tale conforto, ogniqualvolta il bambino ne senta la necessità, viene definito “base sicura”, ovvero un porto al quale si può approdare in ogni momento difficile (situazioni di pericolo o di spavento, malattie, dolore fisico, o dopo un momento di forzata separazione dalle figure di riferimento).
Il poter contare su questa base influenza positivamente lo sviluppo del bambino, in termini di sicurezza personale, autostima, indipendenza, capacità relazionali e prosociali, ma anche in termini di competenze cognitive, capacità di problem solving ed adattamento scolastico in generale.
Avere qualcuno su cui poter contare nei momenti difficili, fa sentire sicuri nell’affrontare le sfide che l’ambiente propone: Bowlby descriveva il bambino come un astronauta, che può esplorare spazi sconosciuti, solo se sa di poter contare su una torre di controllo solida e sempre presente.
Moltissimi studi hanno dimostrato come questo concetto, apparentemente semplice ed intuitivo, sia in realtà alla base della costruzione dell’identità e della capacità di relazionarsi con il prossimo.
Il bambino, infatti, utilizza il modello di attaccamento che gli viene proposto per creare delle rappresentazioni mentali, ovvero immagazzina tutte le informazioni possibili sulle esperienze affettive e relazionali che vive, al fine di costruirsi un’immagine di se stesso e delle relazioni in generale.
Potrà, quindi, provare, basandosi su tale modello, a prevedere il comportamento di chi gli sta intorno, cercando di capire cosa può aspettarsi e modulando il suo agire in funzione di ciò.
Ad esempio: un bambino che si aspetta che la mamma lo prenda in braccio e lo consoli quando piange, piangerà con una frequenza ed intensità diversa, rispetto ad un bambino che si aspetta che la madre ignori il suo pianto, oppure lo sgridi.
Bowlby chiama queste immagini M.O.I. (Modelli Operativi Interni). I M.O.I. rappresentano uno stampo, un imprinting relazionale: lo stile di attaccamento di un genitore viene interiorizzato ed utilizzato dal figlio per relazionarsi a sua volta: si accudisce così come si è stati accuditi.
Le collaboratrici di Bowlby hanno individuato diversi pattern di attaccamento (sicuro, evitante, ansioso, disorganizzato) e dimostrato, tramite studi longitudinali, la correlazione di essi con una serie di aspetti della personalità e con diversi fattori di rischio: un attaccamento non sicuro è collegato a diversi tipi di psicopatologia e di comportamenti non adattivi.
Questa premessa è importante per comprendere come, nel corso dello sviluppo, ricopra un’importanza fondamentale per la salute psichica, non tanto una composizione familiare standard, quanto il fatto che all’interno del nucleo vi possa essere un adulto responsivo e sensibile ai bisogni del bambino, che funga da base sicura e consenta così di interiorizzare un’immagine di sé positiva (-vengo accudito ed ascoltato, quindi sono degno d’amore, efficace e competente nel comunicare-) e di immagazzinare una modalità di interazione con il prossimo basata sulla fiducia.
E’ importante per tutti coloro che concorrono alla crescita dei bambini (genitori, ma anche insegnanti, educatori, altre figure di riferimento) riflettere su questi aspetti, al fine di poter offrire ai bambini, soprattutto se già in situazioni di rischio e disagio, dei modelli adeguati.
Dai due ai tre anni
Un’ulteriore tappa nello sviluppo psicosessuale del bambino è rappresentata dal periodo fra i due e i tre anni.
Piaget definisce questa tappa ‘stadio pre-operatorio’, intendendo la capacità del bambino di ‘operare’ con la mente come ancora parzialmente ostacolata, soprattutto a causa dell’egocentrismo del pensiero, che gli rende impossibile o molto difficile assumere dei punti di vista diversi dal proprio.
Non è infatti un caso che, proprio a questa età, (definita in inglese TT, ovvero ‘terrible twos’ ) una delle difficoltà più spesso riscontrate da genitori ed educatori sia relativa ai cosiddetti “capricci”.
Per capriccio si intende solitamente un rifiuto o un desiderio/richiesta espressa da parte del bambino in maniera ostinata, con pianti, grida, urla; una richiesta che appare essere particolarmente duratura e resistente a qualsiasi tentativo di conciliazione o convincimento da parte del genitore.
Ma perché ciò accade?
La personalità del bambino si sta formando ed emergono desideri e richieste che non sempre sono realisticamente percorribili o che divergono da quanto i genitori ritengono opportuno: per esempio il bambino può chiedere che gli venga acquistato un giocattolo, basandosi sul suo personale desiderio di possederlo; il genitore, dal canto suo, può decidere che non desidera acquistare quel gioco. Tale conflitto su un oggetto (come anche sul vestiario, sul cibo, ecc), diventa in realtà un conflitto fra la “mente” del bambino e quella del genitore, che procedono in direzioni diverse, non univoche.
Appare quindi evidente come la mancanza di una ‘teoria della mente’ (la comprensione che la mente di un’altra persona possa avere pensieri/rappresentazioni diverse dalle nostre di uno stesso oggetto, evento, fenomeno), sia un elemento fondamentale che influenza il comportamento e le relazioni in questa fase evolutiva.
A questa competenza, ancora in divenire, si affiancano invece importanti acquisizioni.
Il linguaggio, tappa fondamentale dello stadio precedente, inizia a strutturarsi. VI è una vera e propria esplosione del vocabolario (burst of naming), accanto ai nomi compaiono verbi ed aggettivi, ma, soprattutto, fa la sua comparsa una funzione molto importante, ovvero quella simbolica: i bambini iniziano a poter conservare delle rappresentazioni mentali della realtà, anche in assenza di essa (es: la madre esiste anche se è nella stanza accanto, non visibile in alcun modo).
Sia il gioco che il linguaggio possono pertanto essere decontestualizzati e ricoprire una funzione puramente simbolica: nel gioco, un coperchio può diventare un volante; un cucchiaio un microfono; una scatola un cappello. Parallelamente, nel linguaggio, si inizia a potersi riferire ad eventi o persone declinandole al passato o al futuro, evocando quindi una realtà non presente in quel momento. Sono tipici di questo periodo giochi nei quali i bambini si sperimentano “nei panni” degli altri indossando abiti, travestendosi, creando capanne e casette anche solo con semplici coperte e lenzuola, nelle quali giocare con pentoline, bambole, ma anche costruzioni, attrezzi da lavoro, facendo finta di essere una mamma, un papà, un cuoco, un guidatore di treno etc.
Attraverso il gioco e l’immaginazione, i bambini e le bambine apprendono informazioni, ampliando le loro rappresentazioni mentali, costruendo, poco alla volta, la capacità di pensare in modo astratto ed incrementando importanti funzioni cognitive, ma anche sociali: nel gioco occorre attendere il proprio turno e decentrarsi dal proprio ruolo, sviluppando pian piano proprio quella teoria della mente che è ancora in nuce, ma che servirà a superare l’egocentrismo e a transitare verso lo stadio successivo.
Importantissima, inoltre, la funzione emotiva del gioco simbolico: mentre gli adulti hanno la possibilità di esternare e rielaborare emozioni ed esperienze vissute, piacevoli o spiacevoli, semplicemente narrandole e raccontandole, il bambino non padroneggia ancora sufficientemente il linguaggio per poterlo fare; utilizza quindi il gioco (e il disegno) al fine di rappresentare le proprie esperienze e poterle in qualche modo “bonificare”, rendendole così più pensabili, più affrontabili.
Potrà, ad esempio, “mettere in scena” un’ospedalizzazione, la nascita di un fratellino/sorellina, un litigio dei genitori, cercando in tal modo di rielaborare i vissuti derivanti da tali esperienze.
E’ molto importante, quindi, lasciare che i bambini di entrambi i sessi possano utilizzare diversi tipi di materiali, oggetti, indumenti, senza limitare le loro possibilità espressive attribuendo loro giochi “da femmine” o giochi “da maschio”.
Allo sviluppo linguistico e cognitivo di questo periodo, si accompagna un parallelo sviluppo neurologico e muscolare e si struttura il controllo sfinterico.
E’ infatti proprio in questa fascia di età che il bambino/a comincia a provare ad evacuare autonomamente, riuscendo trattenere /rilasciare le urine e le feci e, quindi, ad utilizzare il vasino.
Secondo il modello di Freud, in questa fase, definita sadico-anale, gli sfinteri rivestono una grande importanza: l’interesse del bambino si sposta dalla zona della bocca a quella dell’ano; la libido e le sensazioni piacevoli si concentrano quindi su tale zona; il bambino acquista consapevolezza dell’attività interna del suo corpo e del prodotto di questa attività; l’ essere in grado o meno di gestire l’evacuazione ed essere fiero del proprio “prodotto” produce positivi sentimenti di autostima ed autoefficacia.
Le feci possono essere vissute come parte di sé (non è raro trovare bambini che fanno fatica a gettarle), o come “dono” per il genitore; tutta l’energia è incentrata sul binomio espellere/trattenere.
Atteggiamenti troppo rigidi o punitivi, ansiosi o disgustati, una precoce insistenza sull’uso del vasino, possono trasformare l’evacuazione in uno strumento per conservare la propria autonomia, e diventare oggetto di contrattazione: avremo in tal caso un bambino eccessivamente controllato, che trattiene le feci a lungo volontariamente. D’altra parte, genitori eccessivamente permissivi, che non “guidano” il bambino a defecare in un luogo adatto e gli offrono la possibilità di essere gratificato immediatamente, consentendogli di evacuare ovunque ed in qualsiasi momento, non aiutano il bambino nell’interiorizzazione delle regole sociali legate a tale funzione.
L’importanza della famiglia in tale dinamica è centrale: una cattiva gestione dell’educazione al vasino può portare all’instaurarsi di fissazioni, ovvero al mancato superamento (fissazione), nemmeno in una fase di sviluppo successiva, del conflitto inerente agli sfinteri.
Quando ciò avviene, il conflitto può essere spostato dalle feci ad oggetti diversi: per esempio un bambino che non ha superato correttamente la fase anale, potrebbe sviluppare degli aspetti caratteriali legati all’eccessivo possesso, il “trattenere” verrà quindi espresso in modo eccessivo e rigido, veicolato su oggetti, denaro, ecc, sino a sfociare nell’ostinazione, nell’ iper-controllo e nell’ossessiva ricerca di perfezione, ordine e pulizia; allo stesso modo, un eccesso di gratificazione e l’assenza di limiti posti dagli adulti possono far strutturare un carattere ‘espulsivo’: la difficoltà a trattenere potrà quindi trasformarsi nel non saper trattenere il denaro, non essere in grado di assumersi responsabilità, gestire ordine, pulizia ecc, o assumere addirittura sfumature distruttive, manipolatorie e sadiche (evacuazione vissuta come distruzione dell’oggetto).
Anche in questo caso quindi, parallelamente a quanto esposto sopra relativamente ai capricci, si rivela fondamentale l’esercizio genitoriale di una funzione autorevole, ma affettiva, attraverso la quale il bambino possa esperire un giusto grado di autonomia e contenimento, poiché sente che i genitori tutelano la relazione, pur ponendogli dei limiti.
Anche Erickson ha teorizzato lo sviluppo di questa fase, ponendo il conflitto fondamentale fra autonomia e dubbio: le nuove acquisizioni rendono il bambino più autonomo, sia da un punto di vista fisico che psicologico; ciò si accompagna a momenti di frustrazione relativi ad insuccessi nei tentativi di autonomia (es quando non si riesce a trattenere la pipì o a compiere un’azione che si era prefigurato di fare) e sentimenti ambivalenti legati alla crescita ed alla separazione dalle figure di riferimento.
I genitori possono sostenere questa tappa evolutiva aiutando il bambino/a ad avere fiducia nelle proprie capacità nonostante gli insuccessi, cercando di essere presenti ma non iperprotettivi e controllanti, direzionando il bambino verso l’autonomia nella gestione degli sfinteri ma senza atteggiamenti rigidi, pressanti o punitivi (se il bambino si sporca il genitore dovrebbe evitare di pronunciare frasi come “ecco, lo sapevo, sei il solito dispettoso ecc..”, o punire e dare castighi. Sarebbe più opportuno, invece, sostenere il bambino attraverso frasi come: “stai tranquillo, oggi non sei riuscito a trattenerti ma pian piano imparerai”).
Il superamento di questa fase, inteso in senso positivo come la risoluzione del conflitto fra trattenere e lasciare andare, passa attraverso l’apprendimento delle regole sociali, quindi di una cornice più ampia relativa anche al contesto nel quale vive il bambino/a.
Durante la fase anale e, particolarmente, nel momento in cui viene tolto il pannolino e si inizia ad esercitare il controllo sfinterico, aumenta la consapevolezza e l’esplorazione della zona genitale.
L’auto-esplorazione dei genitali è perfettamente normale e non è, in alcun modo, collegata a sovrastrutture prettamente adulte riferite alla sessualità: molto più semplicemente, nel momento in cui i bambini scoprono una parte del corpo che produce sensazioni piacevoli, aspecifiche (non collegate a nessun’immagine o pensiero particolare), possono utilizzarla come autoconsolazione, allo stesso modo nel quale utilizzano altre parti del corpo per rilassarsi e calmarsi (succhiarsi il pollice o le dita, accarezzare o manipolare un orecchio o un braccio, ecc..).
In questo come in altri comportamenti analoghi, il grado di attenzione da porre è relativo all’utilizzo che il bambino/a fa di questa forma di masturbazione: se è un comportamento saltuario e non collegato ad un particolare stato emotivo, non vi è nulla di anomalo; se invece viene messo in atto molto spesso e si nota che viene utilizzato per estraniarsi continuamente dall’ambiente circostante o per scaricare tensione o rabbia, bisognerebbe chiedersi come mai il bambino è sovraccarico di emozioni negative, ed indagare se ci sia qualcosa che lo turba nell’ambiente familiare o scolastico, o se stia attraversando un periodo difficile o doloroso per qualche motivo.
In nessun caso il bambino va sgridato o fatto sentire in colpa per una pulsione che avverte, semmai gli possono essere offerti diversi e più funzionali modi di affrontare un momento di disagio.
Riguardo all’esplorazione dei genitali rivolta verso i coetanei, in un bambino o bambina di questa età, possiamo affermare che questa ha lo scopo di costruire nella mente uno schema corporeo, relativo a se stessi e all’altro; il classico “gioco del dottore” non ha alcuna valenza legata alla sessualità adulta ma è relativo alla naturale curiosità di ogni bambino, che scopre “come sono fatto io e come sono fatti gli altri”.
Il compito di genitori ed educatori, in questa fare evolutiva, è delicato: da un lato occorre, infatti, non reprimere le spinte naturali di ogni bambino e bambina, lasciando che possano esplorare se stessi e il mondo circostante senza sentirsi in colpa o vergognarsi; dall’altro è importante iniziare a veicolare concetti importanti come il rispetto della privacy , dell’intimità e dei limiti propri ed altrui (nessuno può e deve toccare un bambino se questi non lo desidera, le parti intime sono delicate e si debbono proteggere, gli adulti non debbono toccare i bambini ad eccezione dei familiari per espletare pratiche di igiene personale, ecc).
In ogni fase di sviluppo, pertanto, la sintonia fra mondo adulto e mondo del bambino è la cosa più importante; la gratificazione e il controllo vanno dosati e tarati sulla personalità del singolo bambino, in modo da consentire l’elaborazione dei conflitti inerenti alla tappa in corso e transitarlo in modo sereno verso la tappa successiva, ed, alla fine del percorso, verso un’organizzazione adulta.
Tratto da
UN FIORE CHE SBOCCIA
LE BASI SCIENTIFICHE DELL’EDUCAZIONE ALL’AFFETTIVITA’ E ALLA SESSUALITA’