Le perversioni al femminile
Una significativa conseguenza dello sganciamento del concetto di perversione dal concetto di pulsione è stato l’aprire la porta alle perversioni femminili.
Così l’obiettivo è stato spostato dalla sessualità all’identità di genere, tracciando un’altra gamma di comportamenti malati perversi al femminile: cleptomania, automutilazioni, anoressia…; come fa per esempio la. Kaplan, che reinterpreta il problema contrapponendo all’elenco delle perversioni classiche maschili, quello delle variazioni dell’identità di genere delle donne in relazione al contesto socio-culturale, perdendo sempre più il nesso originario non solo con la relativa struttura, ma anche con la pulsione sessuale.
Altri autori, come A. Cooper, seguono invece un diverso filo di pensiero. Partono dalla considerazione che tradizionalmente si credeva che solo gli uomini, in ragione della loro biologia e del relativo sviluppo psicosessuale dominato dall’angoscia di castrazione, fossero esposti al rischio della soluzione perversa. Le donne, considerate prive di istinti, ‘già castrate’, erano esonerate anche dalle relative patologie (fatta eccezione per il masochismo, nel quale è stata sempre riconosciuta la nostra eccellenza). Oggi invece, se le guardiamo con un occhio scevro dagli antichi pregiudizi, le possiamo vedere nella loro interezza; compresi, ad esempio, i tratti perversi dell’esibizionismo e del sadismo.
Le osservazioni più interessanti in materia mi sembrano quelle di Estela Weldon, psicoterapeuta forense che opera a Londra, la quale sostiene che le perversioni femminili ci sono sempre state, ma non abbiamo voluto vederle. Secondo la sua esperienza, molte donne raccontano di avere cercato ascolto, ma che gli interlocutori –psicologi, assistenti sociali o giudiziari…- le hanno sbrigativamente messe a tacere o ‘rassicurate’. Il problema si verifica –dice ancora la Weldon- specialmente in ordine ad impulsi sadici o incestuosi sui figli; sia perché l’angoscia è più forte rispetto alla figura femminile materna, sia perché le forme morbide della tenerezza e dell’intimità fisica erotizzata delle donne sono considerate –a torto- innocue e ‘normali”. Le positive trasformazioni socioculturali che nelle ultime generazioni hanno consentito alle donne uno sviluppo psicosessuale meno inibito nella normalità, si riversino inevitabilmente anche nella patologia, producendo quadri clinici inediti. Si cominciano a segnalare infatti casi femminili di feticismo, oppure di alcune pazienti che –proprio secondo il classico stereotipo ottocentesco dell’esibizionista- spalancano all’improvviso il soprabito per mostrare il seno nudo agli sconosciuti.